Troppo spesso vedo uno strano ghigno sul viso di chi mi ascolta per la prima volta quando dico che mi occupo di marketing. Nella mente delle persone passa spesso il messaggio che faccio qualche marchetta.
No, fortunatamente non quella marchetta che il Treccani definisce “il gettone che le prostitute di una casa di tolleranza ricevevano dalla tenutaria ad ogni prestazione”, ma quelle che lo stesso Treccani indica come “lavoro non impegnativo fatto per compiacere qualcuno o per ottenere un minimo guadagno”.
Forse proprio l’assonanza tra i due termini, marketer e marchetta – o marchettaro – ha costruito nel nostro paese quell’idea comune secondo cui il marketing sia un qualcosa di non ben definito a metà strada tra la comunicazione, le relazioni pubbliche (o pubbliche relazione, per rimanere in tema di marchette), e il lavoretto di “sottobanco” utile a far girare in determinati ambienti il nome di un certo brand o prodotto.
No, il marketing non è niente di tutto questo, e purtroppo non è nemmeno un lavoro creativo, come altri potrebbero immaginare.
Fare marketing (o il “marketer”) significa fare principalmente analisi, poiché nell’analisi nasce e si conclude ogni strategia di marketing. Analisi fatta di indagini sugli stili di vita, sulle abitudini e i comportamenti delle persone che nemmeno immagini esistano, sui mercati potenziali e quindi su tutti i motivi per cui un determinato “target” di persone acquista o non acquista un determinato prodotto o servizio.
Successivamente c’è tutta una fase di analisi dei dati raccolti, stesure di tabelle in fogli di calcolo, analisi statistiche, grafici, ipotesi, tesi, verifica delle tesi, per arrivare, dopo almeno un paio di mesi, a formulare una prima bozza di piano strategico di marketing. Arriva quindi il primo vero confronto con il cliente che, sbalordito, capisce che non faccio il marchettaro (Treccani: “Omosessuale dedito alla prostituzione”) e che i suoi soldi non sono stati del tutto buttati.
A questo punto si può procedere con la strategia di marketing vera e propria, felice di aver convinto un persona in più a capire il mio lavoro.
Kevin Clancy:
“il marketing non è destino, fortuna o creatività”